La tecnica di pesca dal nome drifting viene praticata dalla barca e la caratteristica è lasciare la barca in deriva, anche se con questo termine si intende esclusivamente la pesca al tonno gigante. Introdotta in Italia negli anni ’70, i primi tentativi furono fatti al largo della foce del Po risultati a dir poco incredibili e, da allora, la tecnica ha preso si è diffusa sempre più rendendo possibile la creazione di team specializzati.
Nel drifting l’unica esca utilizzabile è la sarda, è necessario una pasturazione continua a base della stessa esca e effettuata con una particolare tecnica, chiamata “strisciata”.
Attrezzatura
La barca è fondamentale per questa tecnica, deve essere adatta alla pesca d’altura in quanto bisogna spostarsi dalle 8 alle 15 miglia dal porto più vicino. L’attrezzatura essenziale che bisogna avere a bordo è una sedia da combattimento, GPS ed ecoscandaglio oltre che avere uno spazio sufficiente in poppa.
Le canne da avere con se sono diverse a seconda del tipo di combattimento per cui, chi è preposto al recupero, è predisposto. I metodi di combattimento sono essenzialmente due: da seduti oppure in piedi (stand up).
Il combattimento dalla sedia prevede che, subito dopo la ferrata, bisogna sedersi ed agganciarsi per bene infilando la canna nell’apposito bicchiere posto tra le gambe. Inoltre la canna è fissata al giubbotto di combattimento tramite due ganci che collegano il mulinello al giubbotto stesso. Tramite questa imbracatura si riesce a scaricare la trazione che il tonno esercita sia sulla sedia che sul busto permettendo di risparmiare energia nelle braccia.
Il sistema stand up prevede che il combattimento sia fatto in piedi, fissando il piede della canna nel bicchierino della cintura indossata da chi combatte e al solito giubbotto di combattimento. Questo sistema è molto più faticoso ma anche il più sportivo, e se non si ha un fisico preparato può risultare addirittura pericoloso, in quanto la forza sviluppata da un tonno di stazza può anche far “volare” in acqua il pescatore.
Le canne per questi due diversi sistemi di recupero sono diverse per lunghezza, azione e conformazione del piede.
Sistema “Sit Down” (seduti)
Lunghezza intorno ai 2,5 metri ma non meno di 2,3 metri altrimenti potrebbe causare problemi durante gli ultimi metri del recupero. I passanti devono essere molto resistenti a doppia carrucola oppure singola, a seconda della potenza della canna. Il carbonio offre le soluzioni migliori in resistenza e leggerezza, associata ad un’azione decisamente parabolica. Il manico deve essere dritto e sagomato per adattarsi al bicchiere della sedia di combattimento.
Sistema “Stand Up” (in piedi)
Lunghezza compresa tra 1,8 – 2,0 metri in modo da aumentare la leva a favore del pescatore. Passanti resistenti e a doppia o singola carrucola, a seconda della potenza della canna. La leggerezza è fondamentale con questo sistema, quindi la scelta non può che cadere su attrezzi al carbonio, il più leggero possibile. L’azione di queste canne deve essere di punta progressiva, in modo da mantenere una posizione alta della canna per farla lavorare al meglio. Il manico è particolare e presenta una curvatura che permette di manovrare meglio la canna fissata alla cintura e di scaricare parte della forza di trazione sulle gambe. L’attacco del mulinello è anche in questo caso adeguato e potente.
La potenza di queste canne deve essere scelta in base alla stazza delle probabili prede, partendo dalle 30 libbre per i Tonni di branco e le Verdesche per arrivare alla classe 50-80 per i Tonni giganti e gli Squali Volpe.
Come mulinello bisogna optare per un modello che consente di avere ottima resistenza e capace di imbobinare abbastanza lenza per far fronte a situazioni particolarmente difficili. Per la frizione è meglio scegliere un modello a leva invece che a stella, in quanto presenta una regolazione più visibile e permette di segnare facilmente un punto di riferimento per la regolazione della ferrata e per il combattimento. In linea di massima, la frizione va regolata per cedere filo su una trazione del 30-35% del carico di rottura della lenza utilizzata; Supponendo di essere sulle 30 libbre dovrà essere regolato sui 4,5 – 5 chilogrammi mentre per la classe 50 libbre andrà regolato sugli 8 chilogrammi.
Le lenze che si possono imbobinare sono solitamente tre, il tradizionale nylon, il dacron e il più recente multifibre. Quest’ultimo, a parità di classe, permette di usare maggiore quantità di filo in bobina con un conseguente vantaggio in autonomia. Il terminale deve essere di nylon (magari al fluorocarbon) con carico di rottura tra 100 e 200 libbre tenendo sempre conto della stazza delle prede. A volte può risultare indispensabile utilizzare un terminale metallico.
La girella è un punto critico in quanto deve resistere ad incredibili torsioni. In commercio esistono girelle specifiche per i big e, visto che l’esca utilizzata è quasi sempre la Sarda, l’amo va scelto in base alla stazza della preda comunque sempre compreso tra le misure 7/0 e 10/0 in acciaio e perfettamente affilato.
Dopo una ferrata è opportuno sostituire l’amo con uno nuovo e rifarne in un secondo momento la punta.
Importante è portare due robusti raffi se è vostra intenzione salpare la preda oppure una pinza per tagliare il terminale e rilasciare la preda. Infine, per maggior sicurezza del pescatore e di chi deve manovrare il terminale nelle fasi finali del combattimento, un paio di robusti guanti.
Come si è capito dalla descrizione, questa tecnica non è alla portata di tutti, serve molta esperienza e una cospicua disponibilità economica.